In questi ultimi 2/3 anni ha cominciato a prendere piedi anche in Italia la prassi di effettuare delle elezioni “primarie” per scegliere i candidati a successive elezioni politiche o amministrative.
Anch’io, tanti anni fa quando se ne parlava per la prima volta ero favorevole a questa forma di consultazione dell’elettorato. Mi sembrava un modo per rilanciare la partecipazione democratica, per allenare le persone ad occuparsi più oculatamente di politica, per non lasciare in mano a pochi addetti ai lavori, ed ai partiti, una fase delicata della scelta della futura classe dirigente delle nostre città e del nostro Paese. Ora sono un po’ meno entusiasta di questa modalità, e cercherò di spiegare il perché.
Le elezioni primarie hanno un senso se utilizzate per consultare l’elettorato sulla scelta tra chi, all’interno di un gruppo di persone di alto profilo morale, culturale e sociale, ma di scarsa esperienza politica, possa essere designato a ricoprire l’incarico di sindaco, presidente della provincia o di regione, o di altra carica similare. Mi viene in mente come esempio la designazione di Rita Borsellino alla carica di Presidente della Regione Sicilia.
E’ sicuramente un modo saggio per verificare il comportamento di persone, normalmente non “avvezze” alla attività politica, e di misurare il consenso che queste persone possano avere per ricoprire certi ruoli.
Esse possono essere utilizzate anche per “legittimare” una persona designata dagli apparati politici, ma non strettamente legata ai partiti, affinché possa avere un consenso ampio e popolare per essere poi formalmente designata ad una alta carica istituzionale. E’ stato il caso di Prodi per le ultime elezioni politiche.
Tuttavia esse non dovrebbero essere utilizzate quando un gruppo di partiti, che compongono una coalizione, mettono ciascuno in campo un loro esponente, e poi affidano alle elezioni primarie il compito di scegliere chi fra questi debba essere designato alla carica che dovrà essere ricoperta nelle successive elezioni. In questo caso scatterebbe comunque la corsa fra i vari partiti a far fare la migliore figura possibile al proprio candidato, con il risultato che si ricreerebbero i meccanismi tipici degli alleati in guerra fra di loro, che debbono pertanto misurarsi per un possibile primato, con la conseguente necessità di distinguersi, e con l’opportunità di mettere alla prova le capacità organizzative di ciascun partito.
Queste non sarebbero vere elezioni primarie. E’ chiaro che vincerebbe il candidato del partito più forte. Sarebbe solo una prova di forza, inutile e spesso anche dannosa per il clima che si creerebbe tra gli stessi partiti. E gli esponenti che si sottoponessero a tale prova sprecherebbero energie e risorse finanziarie che tanto varrebbe destinare alle vere elezioni.
Allora, a mio avviso, le elezioni primarie servono solo se si ha il coraggio di individuare persone provenienti dalla società civile, e non dagli apparati di partito, per formare la futura classe dirigente. Sarebbe una verifica utile ed opportuna del gradimento dell’opinione pubblica su alcune persone, scelte in una rosa sufficientemente ampia, ed un modo di far conoscere nuovi potenziali soggetti disposti a “servire” la causa politica per il bene del proprio Paese.
Gabriele Darpetti
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