Articolo da IL PUNGIGLIONE di ottobre 2006
La tutela di un diritto chiama sempre in causa anche la politica. Essa infatti deve tornare ad interrogarsi sui futuri possibili scenari di un tema importante come la salute che riguarda tutti i cittadini.
Diritto alla salute non significa solo cura della malattia, ma anche prevenzione e protezione sociale, specie nei casi di patologie non guaribili, ma curabili con una buona assistenza (vedi il caso dell’Alzheimer). Questo comporta una nuova riclassificazione tra prestazioni sanitarie e prestazioni sociali, con spostamenti a favore di queste ultime di ingenti risorse finanziarie. Può sembrare paradossale che in un periodo di risorse in diminuzione per la sanità si proponga di spostarne una considerevole parte verso i servizi sociali, ma a ben vedere è l’unica soluzione possibile alla probabile crisi che deriverà nel settore sanitario dalla contrapposizione trra esigenze crescenti di sempre nuove prestazioni e disponibilità economiche in diminuzione. Infatti se si considereranno tante prestazioni sanitarie – ripulite da invasivi e inutili interventi medici – attività di prevenzione e di assistenza sociale, esse costeranno molto meno, sia per la diminuzione dell’utilizzo di attrezzature e medicine, sia per il minor costo del personale addetto (diminuirebbe inoltre anche la burocrazia amministrativa che nel settore della sanità ha assunto oggi un peso eccessivo anche in termini di costo).
Bisogna quindi spostare risorse dalla sanità al welfare – considerato però un unicum di attività – perché il diritto alla salute significa soprattutto il diritto a mantenere una buona qualità della vita, in tutte le sue fasi, e non solo cure mediche, o interventi chirurgici, in senso stretto.
Questa “riunificazione” del settore sanitario con quello sociale dovrebbe anche essere l’occasione per superare la logica “aziendalista” che oggi impera nella sanità e che è una logica assurda, soprattutto in questo settore, perché adotta una filosofia mercantile anziché una filosofia di tutela dei diritti, e quindi con un prevalere di valori morali. Questa nuova prospettiva presuppone anche un cambiamento culturale, ossia rimettere al primo posto il rispetto della dignità della persona e non l’interesse dei medici e delle multinazionali farmaceutiche. A questo proposito è interessante la recente proposta del ministro Turco di una “pagella” dei pazienti in cui sarà data la possibilità agli utenti di esprimere la propria valutazione tramite un’apposita “cartella clinica del cittadino” che lo accompagnerà durante tutti i trattamenti sanitari ricevuti.
Significa inoltre una diminuzione drastica di bisogni medici “indotti” (come l’eccessivo ricorso ad inutili e ripetute analisi di ogni tipo), e significa anche individuare nuove tutele legali per i medici (essi infatti non possono essere accusati di non aver fatto tutto il necessario per i loro pazienti, da parte delle famiglie, quando il rapporto fiduciario viene meno, altrimenti continueranno a fare di tutto e di più anche se inutile).
In conseguenza di tutto ciò occorrerebbe che a livello istituzionale vengano riunificati anche i settori che si occupano di sanità e sociale con a capo un unico assessore, altrimenti sarebbe impossibile adottare un’unica strategia. Qui torna in ballo la politica, che deve riappropriarsi di una funzione guida anche nella tutela della salute, elaborando strategie e regolando le conseguenti funzioni operative. Parlando di politica, mi riferisco non strettamente ai partiti, che in molti casi sono ridotti a strumenti lobbistici, autoreferenziali e con scarsa partecipazione popolare, ma alla politica in cui ci sia il massimo sforzo di partecipazione e di controllo della società civile con il coinvolgimento dei numerosissimi Enti ed associazioni che hanno costituito l’ossatura dello sviluppo del Terzo settore in Italia.
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