Ormai è ampiamente dimostrato come una delle forme di partecipazione civica e politica tra le più efficaci sia il cosiddetto “voto con il portafoglio”. E’ il nuovo modo di fare i boicottaggi verso i prodotti o i servizi di alcune aziende.
Infatti, ancor più del voto vero e proprio, che si esercita in occasione delle competizioni elettorali (politiche o amministrative), quindi raramente ed in un contesto politico pressoché bloccato, il “voto con il portafoglio” coinvolge progressivamente sempre più persone, con una periodicità ed una incidenza crescente.
Il prof. Leonardo Becchetti, in un suo recente libro, ha dimostrato che queste azioni hanno costretto a modificare il loro comportamento importanti multinazionali europee ed americane. Questo meccanismo potrebbe essere tranquillamente esercitato anche nei confronti di alcuni territori che non rispettano i più elementari diritti umani.
Pertanto anche per la grave tragedia del Tibet, penso che la forma migliore di protesta nei confronti del governo cinese sia quello di boicottare i prodotti che provengono dalla Cina. Ciò potrebbe concretamente avere tre effetti:
1 – protestare in maniera evidente, con il coinvolgimento di molte più persone rispetto a quelle che parteciperebbero ad una eventuale manifestazione, contro una Nazione antidemocratica che non rispetta i diritti della popolazione tibetana;
2 – far capire ai nostri governanti che noi facciamo sul serio, e non è la “compassione di un momento”, affinché attivino canali diplomatici più decisi ed efficaci;
3 – contribuire a diminuire la censura su questa immane tragedia che la nostra attuale società sta attuando nel campo dell’informazione, finalizzata a non “disturbare” i rapporti commerciali che abbiamo con la Cina.
Purtroppo il nostro sistema imprenditoriale sembra preoccuparsi solo degli affari, e mantiene pertanto atteggiamenti ipocriti e superficiali, quindi il nostro “voto con il portafoglio” dovrebbe mettere sull’avviso anche questo, in quanto un giorno questo comportamento potrebbe essere rivolto anche nei suoi confronti.
Sono personalmente convinto che il Governo cinese, così come hanno fatto le multinazionali sopra citate, potrebbe essere maggiormente influenzabile da comportamenti di boicottaggio economici, purchè fatti da migliaia di persone, per avviare percorsi di reale rispetto dei diritti civili, sia nei confronti del Tibet, sia all’interno della stessa Cina.
Ciò, peraltro, è stato affermato anche recentemente da Vandana Shiva che ha detto:
«È il confronto tragico fra una civiltà violenta e una non violenta, quella indo-tibetana. La Cina aggiunge al comunismo, che si serve della violenza come mezzo di dominazione, l’avidità che è propria del capitalismo. Oggi il regime comunista cinese è il maggior regime capitalista del mondo. Ha una tale fame di profitto che non gli basta l’acqua, la terra, non gli basta più neppure il Tibet su cui scarica anche i propri rifiuti; ora rivendica anche l’Arunchal, una regione indiana del nord est. I cinesi stanno perfino deviando verso nord il corso dei fiumi, come il Brahmaputra, che nascono in Tibet; dopo aver inquinato i propri fiumi, ora Pechino ha bisogno di acqua pulita e la prende in Tibet.
Per sostenere le istanze tibetane è imperativo fermare la Cina. Occorre boicottare tutti i prodotti (abiti, tv, strumenti, scarpe, …) che vengono da un Paese che non ha alcun rispetto né per i diritti umani né per la democrazia né per la sostenibilità dello sviluppo»
(da un’intervista al “Resto del Carlino” di Vandana Shiva, economista indiana più volte candidata al Nobel per la pace)
Quindi, per concludere, la mia idea è che sarebbe più utile il boicottaggio dei prodotti cinesi piuttosto che il boicottaggio delle Olimpiadi. Ciò eviterebbe fra l’altro di coinvolgere lo sport, che non dovrebbe essere strumentalizzato mai per fini politici, e ricollegherebbe i fatti economici alla dipendenza della politica attiva dei cittadini, come sarebbe auspicabile avvenisse anche da noi.
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