(articolo tratto dal n.4 de IL PUNGIGLIONE)
Lunedì 22 settembre a Fano, la lista Bene Comune ha organizzato un incontro pubblico intitolato “l’acqua è un bene comune” con Riccardo Petrella, fondatore del Contratto Mondiale sull’Acqua, e tra i primi animatori di un movimento internazionale contro la privatizzazione della gestione dei servizi idrici locali. Un movimento che negli ultimi due/tre anni è cresciuto enormemente anche in Italia tanto da produrre una proposta di legge di iniziativa popolare firmata da oltre 406.000 cittadini e presentata in Parlamento a luglio del 2007.
Petrella ha affrontato numerosi argomenti, tra questi la confusione legislativa in materia (frutto delle contraddizioni della politica), l’atteggiamento incoerente di molti Enti Locali, una non sufficiente conoscenza e consapevolezza del problema da parte dei cittadini.
“L’ignoranza sulla gravità dello stato idrico in Italia è legata soprattutto ad una cultura assai debole dei beni comuni in seno alla classe dirigente nazionale e locale accumulatasi nel corso degli ultimi trent’anni. Oggi è aggravata dal fatto che secondo la grande maggioranza dei leaders politici, economici e tecnocratici del Paese, la gestione dell’acqua deve essere affidata al mercato ed al principio della concorrenza.
Quello che è prioritario capire è il fatto che la mercificazione dell’acqua significa la mercificazione della vita e quindi la fine della storia dei diritti umani e sociali.
Il Contratto Mondiale sull’Acqua è un movimento di mobilitazione cittadina, da me fondato nel 1996, sulla base di un “manifesto dell’acqua”, che mira a far riconoscere l’accesso all’acqua come diritto umano ed a trattare l’acqua come un bene comune pubblico.” ha detto Petrella in uno dei suoi primi passaggi.
Riguardo all’atteggiamento incoerente di molti Enti Locali, Petrella ha ricordato che spesso i Comuni affidano la gestione del servizio idrico a società quotate in borsa (in Italia sono attualmente 6 le SpA che si spartiscono il territorio) senza mantenere più alcuna professionalità interna, e quindi nessuna possibile forma di controllo, e senza più possibilità di incidere né sulle tariffe nella sulla qualità di un servizio pubblico essenziale. Tutto ciò in cambio di pochi dividendi che poi vengono spesi per altre attività e non più per le necessarie manutenzioni ed investimenti, con un costante depauperamento degli acquedotti e delle altre infrastrutture necessarie. Tutto ciò comporta costi in aumento, per le perdite e le rotture sempre più frequenti, senza più nessuna capacità di far fronte a questi problemi da parte dei singoli Comuni.
Petrella ha portato ad ulteriore esempio la sua esperienza di Amministratore della Società Acquedotti Pugliesi, dove ha lasciato dopo circa 18 mesi, in quanto anche la logica delle Regioni, che sentendosi “proprietarie” delle acque che sgorgano dai propri territori, ne fanno un commercio improprio, alimentando la concezione che l’acqua è un bene economico su cui fare profitto. Così come egli condanna lo strumento della SpA, tipica società che ha come obiettivo il profitto da capitale, che non è adatto ad una attività che dovrebbe essere sempre in pareggio: le tariffe dell’acqua dovrebbero coprire sempre e solo il costo dell’erogazione del servizio, e non remunerare il capitale di chicchessia.
Riguardo alla non sufficiente conoscenza da parte dei cittadini, ha citato il fatto che non solo non conosciamo i nostri diritti, ma spesso non abbiamo consapevolezza dei fatti quotidiani che riguardano la nostra vita. Un esempio eclatante a questo riguardo è l’uso dell’acqua minerale.
L’acqua del rubinetto è l’unica che, per legge, deve subire un processo di potabilizzazione che ne controlla i parametri accettabili per il corpo umano. Le acque minerali altresì, sempre per legge, devono essere imbottigliate senza alcun trattamento (tranne che l’eventuale gassificazione) e come tali non sono “potabili”, ma “minerali”. Pertanto per alcune acque, con particolari sali minerali, se ne sconsiglia addirittura l’uso costante o prolungato senza averne controllato la composizione. Inoltre le acque minerali, che rispondono ad una legge sulle estrazioni minerarie, grazie alla quale i gestori pagano cifre irrisorie per metro quadro di terreno utilizzato ma realizzano grandi profitti (non si spiegherebbero gli enormi investimenti pubblicitari), producono anche enormi rifiuti di plastica che vengono smaltiti con costi a carico della collettività.
Tutta la pubblicità ci ha indotto a credere che l’acqua minerale sia più salubre dell’acqua del rubinetto. Invece è esattamente il contrario, e sarebbe opportuno utilizzare l’acqua del rubinetto nelle mense scolastiche, negli ospedali, e in tutti i locali pubblici
Ci sono infine dati sui comportamenti di tutti noi che, sprecando la risorsa acqua senza adottare un consumo responsabile e consapevole, non solo creiamo gravi ingiustizie fra le popolazioni del mondo, ma pregiudichiamo il futuro del nostro pianeta. In Italia consumiamo mediamente circa 200 litri di acqua al giorno per la pulizia personale, della casa (compresi lavapiatti e lavatrici), la cucina, l’irrigazione delle piante ecc. (la città più sprecona è Torino con 243 litri consumati per ogni abitante al giorno, seguono Roma con 221 litri, Catania 214, Verona 199, Milano 191), mentre oltre 1 miliardo di persone non ha la possibilità di avere il minimo di 50 litri cadauno considerati dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) necessari per una vita dignitosa.
Il ragionamento di fondo di Petrella è comunque sempre rimasto sul concetto che l’acqua è un diritto, e non un bene economico, e come tale universale ed inalienabile.
La battaglia per una gestione totalmente pubblica dell’erogazione del servizio idrico assume quindi, per la sua naturale simbologia, il carattere di una rivendicazione vitale, ma deve diventare anche l’occasione per orientare un impegno personale quotidiano, contro una visione prettamente economicista della vita che sta, purtroppo, subdolamente avanzando nell’attuale società.
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