Gli effetti disastrosi delle grandi opere (un altro bell’articolo di Paolo Rumiz)

Personalmente penso che la corsa “alle infrastrutture” che viene fatta bipartisan, ossia da entrambi gli schieramenti politici, sia sbagliata, e non risolva il problema della crisi economica, se non in minima parte. Ma visto che non sarà possibile fermare questa “sbornia collettiva” (come fu in gran parte l’approccio alle privatizzazioni a tutti i costi di tutto e di tutti), almeno abbiamo il diritto di pretendere che la realizzazione di nuove infrastrutture non distrugga irrimediabilmente il nostro territorio.
Questo bell’articolo di Paolo Rumiz sugli effetti disastrosi della costruzione dei tunnel per l’Alta Velocità nell’Appennino tosco-emiliano, è un esempio di cosa potrà succedere, su vasta scala, se non ci svegliamo e cominciamo a protestare. E comunque anche quello che è già successo è già molto grave. (Gabriele Darpetti)

Appennino, i torrenti inghiottiti dagli scavi dell’Alta velocità.
Viaggio nel Mugello dove il sistema idrico è stato distrutto e le falde sono precipitate di centinaia di metri. Dove un tempo proliferavano trote, gamberi e vegetazione protetta ora ci sono solo profondi canyon. (da Repubblica.it del 22 marzo 2009 di PAOLO RUMIZ)
SAN PIERO A SIEVE – Non servono sismografi per capire dove passa il tunnel dalla Tav tra Bologna e Firenze. Basta seguire una traccia di foreste rinsecchite, alvei vuoti, macerie. Persino i cinghiali rifiutano di vivere lassù. Sopra la “grande opera” esiste una scia di “grandi disastri” che la segnala fedelmente.
L’abbiamo percorsa, verso Nord, e per capire ci è bastata la parte toscana. Il Mugello, snodo cruciale dello scavalco appenninico. I danni li hanno appena quantificati i giudici: 150 milioni di euro solo per lo smaltimento abusivo dei terreni di scavo. Poi vengono i cantieri abbandonati, le cave e le frane. Il peggio è il sistema idrico distrutto: per ripagarlo non basterebbe una mezza finanziaria. Fra 750 milioni e un miliardo 200 milioni, per ventidue minuti di viaggio in meno. Spariti o quasi 81 torrenti, 37 sorgenti, 30 pozzi, 5 acquedotti: in tutto 100 chilometri di corsi d’acqua.
Ma le cifre non sono niente. Per farsi un’idea bisogna sentire il tanfo polveroso della montagna morta. Rifare i sentieri della Linea Gotica, tra i rovi, come in guerra. Solo che stavolta i danni non li hanno fatti i generali ma gli ingegneri, che possono essere peggio. Le ferite delle bombe si rimarginano. Queste restano per sempre. Siete avvertiti: non siamo di fronte a un evento naturale, ma a qualcosa di biblico. Tace la valle del torrente Carzola. Niente più uccelli. La falda è precipitata di trecento metri e la montagna è sotto choc idrico. Ha piovuto tutto l’inverno, ma le conifere sono morte, le querce moribonde. C’erano salmoni, trote, gamberi: ora più nulla. Un catastrofe come il Vajont, ma alla rovescia. Polvere, silenzio. Nel canyon si spalanca una finestra di servizio. È sguarnita, potrebbero entrarci uomini e bestie. Cento metri sotto, il tunnel che ha inghiottito tutto. I tecnici ricordano quando avvenne. Esplose un getto da 400 litri al secondo a tredici atmosfere. Da allora, anche se in superficie la valle scende a Nord, le falde scaricano a Sud, verso Firenze. E del Mugello a secco chi se ne frega.
Paolo Chiarini, 30 anni, ingegnere ambientale, è cresciuto sui fiumi e, quando il Carza sparì di colpo un giorno di febbraio di 11 anni fa, fu il primo ad accorgersene. Corse in Comune ad avvertire, ma gli risposero giulivi: “Per forza, non è nevicato”. Capì subito che l’unica acqua che interessava gli italiani era quella del rubinetto, e fece l’unica scelta possibile: combattere da solo.
Da allora Paolo ha battuto ogni rigagnolo e raccolto dati. Oggi ci fa da guida su questa strada partigiana. A Campomigliaio c’era la piscina naturale dei fiorentini. Poi è arrivata la talpa maledetta che ha “impattato” la falda e oggi sul greto resta solo un ridicolo cartello “Divieto pesca” e, a monte, uno scolo fognario a secco. Il Carlone era il paradiso dei pescatori. Oggi è ingombro di bungalow dai vetri rotti, rottami, tubi, cisterne, caterpillar arrugginiti. Su un muro, la scritta “Ciao, è stato bello”. Sotto, un torrente in agonia. Ma a monte è peggio. Una strada bianca in mezzo a una foresta sbiadita, fiancheggiata dai tubi che fino a ieri hanno pompato acqua per tenere in vita il torrente. Una finzione.
Sopra, una montagna di rocce intrise di asfalto collante, oli e bitumi. Quando piove, la morchia scola sulla vasca di captazione del comune di Vaglia, che raccoglie la poca acqua. Purissima, era, da imbottigliare senza filtro. Tutto quel materiale poteva essere reimpiegato nel tunnel, come in Svizzera nella galleria del Gottardo. Qui invece s’è portato tutto in superficie. E nel buco hanno portato ghiaia fresca, aprendo decine di cave inutili sul monte. Ecco perché la Tav è costata il quintuplo del previsto.
A San Piero a Sieve la ferrovia veloce esce a palla di fucile e s’infila sotto l’autodromo del Mugello. Siamo nel cuore della conca, l’Appennino perde asprezza, l’orrore diventa bucolico. Tra le fattorie il torrente Bagnone è scomparso. Poco in là, anche il Bosso. Nove anni fa le sorgenti saltarono tutte assieme, ricorda l’avvocato Marco Rossi che segue le cause civili. “Quando sparì il torrente la gente pensò che sarebbe tornato. Invece non tornò. Finita. Arrivarono le autobotti. Poi il disseccamento salì fino a Farfereto e Striano”.
A Sergio Pietracito hanno fatto di tutto. Gli hanno tolto l’acqua per gli animali, fatto franare il bosco, aperto crepe in casa, semidistrutto i frutteti con le polveri, terremotato il sonno con esplosioni, ventole al massimo, bip di cicalini, fischio di allarmi, rombo di tir in retromarcia. Poi, a cantiere chiuso, gli hanno ripristinato i terreni con zolle miste a cemento, plastica e ferri arrugginiti.
Pietracito ha speso 30 mila euro in avvocati, senza aiuto degli enti locali. L’italiano è solo davanti al potente. Lui non molla, ma molti altri sono stanchi. Sanno che, più dei danni, sono i processi a mangiarti la vita. Finisce che sei tu a dover pagare. La politica cala le brache: è già tanto se i sindaci sono riusciti a farsi dare il tracciato della galleria.
Risaliamo verso il Giogo della Scarperia. Ormai è un “trek” nella devastazione. Conifere moribonde, castagni in sofferenza. Fra un mese gli animali scapperanno anche da qui. A Lugo hanno visto “i caprioli scendere a valle per bere dai sottovasi dei giardini”. Non era mai successo prima del 2006, quando la Tav ha smesso di pompare acqua “finta” in quota.
Dopo il crinale, il versante del Santerno ci sbatte davanti l’ultimo sacrilegio. Sul lato della Sieve avevamo censito pozzi defunti col nome di santi e beati. Qui, nell’abbazia di Moscheta, succede di peggio. Hanno rubato l’acqua santa. La pieve, per riempire il suo secolare abbeveratoio rimasto a secco, deve farsi sparare acqua da Fiorenzuola. Sempre per quei maledetti ventidue minuti.
Oltre si spalanca un abisso dantesco, il canyon chiamato Inferno. Era il top del Mugello, segnato su tutte le guide. Trote, gamberi, muschi. Sopra, il sentiero dove un tempo Dino Campana andava a Firenze incontrando bande di musicanti e pescatori di fiume. Oggi si cammina a secco tra massi enormi e smerigliati, segno della sacra potenza uccisa dall’uomo. Chi pagherà tutto questo? Quale nazione chiederà il conto? Il fiume infernale si butta nel Santerno, dove s’apre il cratere della colossale stazione intermedia della Tav. Intorno, la devastazione. Novanta cave. Novanta cicatrici. Ed è solo il preludio dell’ultima è più spaventosa ferita. La più lontana, la meno visibile. La condanna, esecuzione e morte del torrente Diaterna, con la doppia sorgente biforcuta sotto il Sasso di San Zanobi. Ora si procede solo a piedi, tra ghiaie terribili, guadi algerini, qui nell’Italia di mezzo a fine inverno. Tre anni fa Chiarini vide e fotografò vasche piene di pesci putrefatti. Da allora è morte biologica. Querce cadute, polvere, vento, lucertole. Sotto, la galleria spara la sua traiettoria in un fondale umido carico di bitumi. Qui sopra, il biancore abbacinante di un greto. La frazione di Castelvecchio – sopra l’ultima finestra della Tav in terra toscana – ha perso il suo acquedotto nel ’98. Ora vorrebbero costruire un invaso per compensare lo scippo.
Ma per metterci quale acqua? Con quale canalizzazione? Cementificando gli impluvi? Ricoprendoli di resine? Coprendo lo scempio con uno scempio ulteriore? La parola catastrofe non basta. Il viaggio è finito. “Cosa ci riserva il futuro Dio solo sa” brontola Piera Ballabio, della Comunità montana del Mugello. “Con la nuova legge sulle grandi opere, i Comuni avranno ancora meno voce in capitolo. Siamo vicini a una militarizzazione del territorio. Alla faccia del federalismo”.


Commenti

2 risposte a “Gli effetti disastrosi delle grandi opere (un altro bell’articolo di Paolo Rumiz)”

  1. Avatar Antonio
    Antonio

    La scorsa settimana, il 25 marzo, Berlusconi ha inaugurato il tratto della TAV che collega Roma a Milano. Sul treno “Freccia Rossa” parlando coi giornalisti, mentre magnificava l’opera svolta, ha lamentato il fatto che una delle imprese che ha partecipato all’opera abbia subito una condanna a 5 anni in primo grado. A tal proposito ha detto che “la Magistratura è la metastasi di questa Nazione”, smentendo quindi l’idea di tutti quegli italiani che credono che sia la classe politica il tumore che drena risorse dalla Nazione e ne pregiudichi sempre più il futuro. La grave affermazione non ha suscitato alcun clamore negli organi di informazione, sarà stato perchè non era la prima volta che Berlusconi inveiva contro la Magistratura, ma mi chiedo com’è possibile che in uno stato democratico, dove la distinzione e l’autonomia dei vari poteri è alla base delle garanzie per ogni cittadino, il capo del Potere Esecutivo possa delegittimare il Potere Giudiziario senza che nessuno si preoccupi di ciò che questo possa significare per la sorte dello stato di diritto in questo Paese?

    Per il nostro Presidente fare impresa, per il solo merito di farlo, dovrebbe mettere al riparo da qualsiasi regola. Un concetto che è in testa a tante persone e sta nel Dna di chi persegue il fine del facile arricchimento. E’ il credo di chi non considera mai sè stesso e le proprie aspettative assoggettabile alle regole e al benessere della comunità. Ed è anche il credo di tutti gli affiliati alle varie mafie che la nostra terra ha partorito. Quale miglior rappresentante ed interprete delle loro istanze potrebbero desiderare queste? I padrini si saranno spellate le mani… alla faccia di Roberto Saviano!

    Poi ho letto l’articolo di Paolo Rumiz sul disastro ambientale provocato nell’appenino tosco-emiliano dai lavori di costruzione dei tunnel per la TAV e mi sono reso conto che la magnifica opera compiuta, che per Berlusconi deve coprire ogni possibile e inevitale misfatto, è una tragedia per troppe persone travolte oltre che dal danno dalla beffa.

    Antonio Colucci, Fano.

  2. Effetti logici della legge delega. D’altronde nel Paese in cui si predilige il partito del Fare (disastri) e della Libertà (di rubare) questo è ancora nulla per quel povero territorio più aggredito d’Europa.

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