La Corte europea di Strasburgo ha reso nota una sentenza con cui accoglie il ricorso di una cittadina italiana contro la presenza del crocifisso in un’aula scolastica. Secondo la Corte europea, la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche costituirebbe «una violazione della libertà dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni» e una violazione alla «libertà di religione degli alunni». Il governo italiano ha anticipato l’intenzione di ricorrere contro la sentenza. Qualora il ricorso del governo non dovesse essere accolto, la sentenza emessa diverrà definitiva e il comitato dei ministri del Consiglio d’Europa dovrà decidere quali azioni il governo italiano deve assumere in merito.
Controversie giurisprudenziali e istituzionali
Il caso non è certo nuovo. La disposizione sul crocifisso a Scuola risale a due decreti regii (rispettivamente del 1924 per la scuola media e al 1928 per la scuola elementare), recepiti poi dal Ministero Pubblica Istruzione (con circolare 367 del 1967 sugli arredi scolastici e con direttiva 2666 del 3 ottobre 2002); ed il Consiglio di Stato, con un parere espresso all’Amministrazione nel 1988 (decisione n. 63 del 1988), ha ritenuto ancora vigente tale disposizione.
In Italia, negli ultimi anni i tribunali se ne sono occupati più volte. Il Tribunale de L’Aquila (ordinanza 29.11.2003) ha confermato la piena legittimità della presenza del crocifisso nelle aule scolastiche, accogliendo il ricorso del Ministero Pubblica contro le eccezioni sollevate dal presidente dell’Unione musulmani. Lo stessa cosa ha deciso il tribunale di Napoli (con ordinanza del 31.03.2005) a proposito della presenza del crocifisso nei seggi elettorali; ed il Ministero dell’Interno (con nota 5160 del 5 ottobre 1984), per giustificare il mantenimento del crocifisso nelle aule giudiziarie, ha scritto che «i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano» e che «il crocifisso è il segno della nostra cultura umanistica e della nostra coscienza etica».
In seguito, di fronte ad una questione di costituzionalità (cioè il rispetto del principio di laicità dello Stato) sollevata dal Tar Veneto a seguito di un ricorso presentato da un genitore contro la presenza del crocifisso nella scuola frequentata da figlio, la Corte Costituzionale ha evitato un pronunciamento chiaro di merito, limitandosi a dichiarare inammissibile la questione sul piano formale di costituzionalità nei termini in cui il Tar Veneto l’aveva proposta: in altri termini la Corte (ordinanza n. 389 del 15.12.2004) ha affermato di non potere emettere un pronunciamento di legittimità, giacché ad imporre il crocifisso non è una legge ma una disposizione amministrativa che riprende un regio decreto.
Il medesimo Tar Veneto (con sentenza del 22.03.2005, n. 1110) è quindi intervenuto in proprio, sostenendo che il crocifisso «debba essere considerato non solo come simbolo dell’identità del nostro popolo, ma anche simbolo di un sistema di valori di libertà, uguaglianza, dignità umana e tolleranza religiosa e quindi anche della laicità dello Stato, principi questi che innervano la nostra carta costituzionale». Infine il Consiglio di Stato (con la sentenza del 15 febbraio 2006) ha ribadito tale linea, argomentando da due punti di vista: il primo argomento riprende gli stessi principi del Tar Veneto, mentre il secondo introduce un ulteriore aspetto. Il Consiglio di Stato ha affermato, infatti, che il crocifisso «rappresenta valori civilmente rilevanti, ovvero valori che soggiacciono ed ispirano il nostro ordine costituzionale»; ha poi aggiunto, inoltre, una seconda e nuova considerazione: cioè il fatto che la presenza del crocifisso non contrasterebbe in nessun modo con la laicità dello Stato in quanto «la laicità, benché presupponga ovunque la distinzione tra la dimensione temporale e la dimensione spirituale e fra gli ordini in cui tali dimensioni sono proprie, non si realizza tuttavia in termini uniformi nei diversi Paesi, ma è relativa alla specifica organizzazione istituzionale di ciascuno Stato e quindi essenzialmente storica».
* *
Dunque, sembra di poter dire che la giurisprudenza italiana si sia sinora pronunciata in modo piuttosto univoco (con poche eccezioni, come una sentenza della Cassazione del 1 marzo 2000). In Europa le cose non sembrano, però, andare nella medesima direzione. Ad esempio, il tribunale spagnolo di Valladolid (con sentenza emessa il 14 novembre 2008) ha accolto il ricorso dell’Associazione Scuola Laica ed ha deciso che il crocifisso vada tolto dalle aule, perché rappresenterebbe un simbolo confessionale contrastante con la natura aconfessionale dello Stato e perché “la presenza di simboli religiosi nelle zone comuni di centri educativi pubblici dove ricevono istruzione minorenni in piena fase formativa può provocare in loro la sensazione che lo Stato sia più vicino alla confessione correlata a tali simboli religiosi che ad altre confessioni”. Ora, inoltre, questa sentenza della Corte europea di Strasburgo (del 2 novembre 2009), accogliendo il ricorso proprio avverso la sentenza italiana del Consiglio di Stato citata poco sopra (del febbraio 2006), non solo rafforza la “linea spagnola”, ma alimenta anche un possibile contrasto non appena giurisprudenziale bensì addirittura istituzionale fra istituzioni dell’Unione europea ed uno degli Stati membri.
Tre perché del “sì” al crocifisso (nonostante i dubbi e la problematicità nel merito)
Che dire al proposito? I dubbi, nel merito, non mancano. Da un lato infatti appare riduttiva e privatistica la tesi secondo cui il cristianesimo debba essere vissuto come una esperienza esclusivamente della coscienza individuale oppure debba essere confinato dentro le sacrestie. Dall’altro lato, però, è dal nucleo stesso del cristianesimo che ricaviamo la fondamentale lezione di laicità delle istituzioni politiche; da questo punto di vista la realtà multiculturale, plurireligiosa o secolarizzata della società odierna non sopraggiunge come a rendere impossibile una forma di testimonianza cristiana pubblica, ma per così dire la invera nella sua autenticità.
Quest’ultima considerazione (il senso della laicità delle istituzioni, definitivamente riconosciuta in Italia dall’ultimo Concordato) sembrerebbe dunque contraddire la presenza di espliciti simboli del cristianesimo nei luoghi e nelle istituzioni pubbliche.
Ma vi è poi un’altra considerazione, che può guardare al cristianesimo, ed assumerne anche i simboli, da un punto di vista storico-culturale. È su questo piano che il Consiglio di Stato, con la sentenza sopra citata del febbraio 2006, ha confermato la piena legittimità della presenza del crocifisso nelle scuole italiane. Ed è su questo medesimo piano che si potrebbe concordare con le parole di F.P. Casavola, già presidente della Corte costituzionale: «che la religione cattolica non sia più la religione dello Stato italiano non significa che essa cessi di essere la religione storica del popolo italiano, essendo ben chiaro che essa non rappresenta lo Stato».
Un secondo possibile perché del “sì” al crocifisso in aula può venire dalle parole di una valente intellettuale comunista come Natalia Ginzburg scritte nel 1988 in un suo articolo in «difesa del crocifisso» per il giornale “l’Unità”: «il Crocifisso non genere nessuna discriminazione. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Sono quasi duemila anni che diciamo “prima di Cristo” e “dopo Cristo”; o vogliamo forse smettere di dire così? […] Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Per i cristiani Gesù Cristo è figlio di Dio. Per gli altri può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo. […] A tutti è accaduto di portare sulle spalle il peso di una sventura; a questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici. Questo dice il crocifisso. Lo dice a tutti. Rappresenta tutti. Perché prima di Cristo nessuno aveva detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei, neri e bianchi». La sentenza del Tar Veneto del marzo 2005 o un passaggio della sentenza del Consiglio di Stato del febbraio 2006 -cui si è accennato sopra- avrebbero poi detto cose non molto diverse, parlando del crocifisso come simbolo di un sistema di valori (uguaglianza, dignità umana e tolleranza) che ispirano la nostra carta costituzionale. In questa stessa linea stanno le parole che, nel suo sito personale, scrive l’intellettuale e filosofo Marco Guzzi: «i giudici di Strasburgo hanno dimenticato che non sussisterebbe nemmeno il concetto di un qualche diritto inalienabile dell’uomo e quindi non sussisterebbe nemmeno la loro corte senza quella croce che ha distrutto ogni differenza di casta, sesso, religione, cultura, classe, dando a ogni essere umano una dignità assoluta»; perché di straordinaria importanza è il contributo che la teologia cristiana ha dato nel formulare la nozione di persona umana e del suo valore inviolabile così come vengono oggi laicamente intesi, «anche se la storia del cristianesimo trabocca del sangue versato proprio violando il significato ultimo di liberazione totale dell’uomo insito nella croce».
Quale laicità?
Un terzo possibile perché del “sì” al crocifisso può collegarsi alla stessa idea di laicità che intendiamo coltivare. Il vescovo Vincenzo Paglia, responsabile della commissione Cei per il dialogo interculturale, commentando per Radio Vaticana la sentenza della Corte europea, ha detto che la sentenza sembra basarsi su un presupposto di «debolezza umanistica oltre che religiosa»: perché la laicità -ha continuato- «non è l’assenza di simboli religiosi» (aggiungerei io, secondo un certo modello di laicità assunto, ad esempio, nella legislazione francese che ha recentemente vietato l’esibizione di simboli religiosi in luoghi pubblici), «ma è piuttosto la capacità di accoglierli e di sostenerli di fronte al vuoto etico e morale che spesso noi vediamo anche nei nostri ragazzi. Pensare di venire in loro aiuto facendo tabula rasa di tutto pare davvero miope, anche perché presuppone una concezione di cultura che è libera solo nella misura in cui non ha nulla o ha solo quello che rimane sradicando da ogni storia, tradizione, patrimonio». Il vescovo ha ricordato che i luoghi pubblici italiani (piazze e siti monumentali di ogni genere) sono pieni di simboli cristiani ed ha poi concluso: «non credo ci sia nessuno che pretenda di distruggere i simboli religiosi nelle strade e nelle piazze italiane perché levano la libertà di religione». E verrebbe da aggiungere –se non suonasse provocatoriamente paradossale- per coerenza dovremmo attenderci che qualche tribunale europeo cancelli le feste domenicali, natalizie o pasquali, in quanto indubbiamente legate alla confessione cristiana, o addirittura che -per le stesse ragioni- si smetta di computare gli anni a partire da quello simbolico della nascita di Cristo, reimpostando tutta la nostra cronologia storica in omaggio ad una presunta laicità delle nuove democrazie multireligiose? Piuttosto -senza con ciò evocare l’immagine dei cosiddetti “atei devoti”- non dovremmo un poco tornare tutti alla scuola “laicissima” di Benedetto Croce e del suo «non possiamo non dirci cristiani»?
Per un orientamento bibliografico essenziale
S. Belardinelli, La religione occultata: simboli religiosi e stato laico nelle democrazie multiculturali europee, Fondazione Ruffilli, Forlì 2004
L. Preden, La “questione del Crocifisso” nella più recente giurisprudenza, in “Nuova Secondaria”, 3 (2005), pp. 126-127
T. De Mauro, Scuola e cultura laica, in G. Preterossi (ed.), Le ragioni dei laici, Laterza, Roma-Bari 2005, pp. 97-108
E. Genre e F. Pajer, L’Unione Europea e la sfida delle religioni. Verso una nuova presenza della religione nella scuola, Claudiana, Torino 2005
C. Pontecorvo, Laicità e istruzione, in G. Boniolo (ed.), Laicità, Einaudi, Torino2006, pp. 128-146
G. Dalla Torre (ed.), Lessico della laicità, Studium, Roma 2007 (voci Laicità e simboli religiosi e Laicità e scuola, rispettivamente di P. Cavana e di G. Tognon, alle pp. 165-177 e 179-196)
F. De Giorgi, Laicità europea. Processi storici, categorie, ambiti, Morcelliana, Brescia 2007, pp. 147-186
Samuele Giombi
–
Commenti
Una risposta a “Quel crocifisso in aula”
Dice Giombi: “La presenza del crocifisso non contrasta la laicità dello Stato…La legge italiana è univoca nella difesa del..mentre non lo è quella europea…Riduttivo e privatistico un cristianesimo vissuto nelle coscienze e nelle sacrestie”. Se si tratta di letteratura o discorso accademico non si può non concordare, se storicizziamo, mi domando in che mondo vivano i cattolici. Dove mai esiste la laicità nel nostro attuale contesto? E’ sotto gli occhi di tutti come l’agenda politica venga dettata dalla CEI e come tutti, maggioranza e opposizione, facciano a gara nell’accondiscendere ai desiderata pontifici. Che la legge italiana sul crocifisso sia univoca e non lo sia quella europea non sembra essere un merito giurisprudenziale. Si tratta solo di un processo storico-culturale che ha visto la presenza egemonica della Chiesa cattolica in tutti i versanti della nostra vita. Altro che rinchiudersi nelle coscienze e sacrestie, il problema è proprio opposto: l’invadenza pervasiva. Negli altri stati europei sono state sempre presenti esperienze e voci difformi che hanno consentito di preservare ogni forma di pluralismo, consentendo così un più elevato sviluppo sociale e giuridico. Il problema non è l’Europa ma l’Italia. Venendo al crocifisso, ai tempi della Lega, non si può negare che venga esibito come bandiera, simbolo di identità. Come sottolinea Filippo Gentiloni, siamo in piena religione civile, quella famosa degli atei devoti. Più chiaro di così. E’ un continuo patteggiamento e connubio tra sacro e profano. Di più. Direi che ci troviamo di fronte a strumentalizzazioni reciproche. Vedi Ratzinger che alla vittoria elettorale del Pdl dichiara “Avvertiamo con particolare gioia un clima nuovo..” e Berlusconi che risponde, in occasione delle festività natalizie, “I valori cristiani sono sempre presenti nell’azione di governo..”. Tradotto: Io, Stato, concedo ogni privilegio materiale e giuridico e Tu, Religione, mi fornisci una etica pubblica a sostegno della società civile (e i voti). Commenta Roberto Fiorini su Pretioperai:”Altro che gioia, ma lamento per una direzione della Chiesa che appare complice di una rinnovata alleanza tra trono ed altare, zavorra di piombo che grava sull’evangelo”. Se la croce del Cristo storico e del Cristo della fede hanno il significato dell’amore che sostanzia la verità, la croce strumentalizzata e che si lascia strumentalizzare di questi giorni sembra assumere più i connotati del formalismo, della gerarchia e del potere, che i fedeli acriticamente subiscono. A volte il pulpito funziona come le televisioni del premier. Le citazioni della Ginzburg sul crocifisso simbolo di uguaglianza, dopo le torri gemelle e la competizione globale, sono da relativizzare. Con la guerra preventiva di Bush, per la gran parte del globo il crocifisso diventa simbolo aggressivo, la controparte. Con questo crocifisso occidentale non ci siamo. Dovremmo riflettere, seguendo Barbaglio, sulla inculturazione esclusivamente ellenistica del messaggio cristiano. Non sono possibili altre inculturazioni? Il problema diventa di quale crocifisso si tratta. Del crocifisso della fede apostolica tramandata dalla Chiesa, del crocifisso del dogma e dei concili e del magistero oppure del crocifisso dei poveri e degli immigrati che vivono con noi il quotidiano? Dobbiamo incorporare ma anche andare al dilà del crocifisso del IV e V sec. Il crocifisso deve poter operare in ogni tempo e luogo e più che mai nel presente e nei vari contesti. Schillebeeks e la Teologia della liberazione parlano di revisione ermeneutica della cristologia in chiave pluralista, come antidoto ad ogni dogmatismo e contro abusi ideologicamente conservatori. Quindi il problema non è l’ostensione del crocifisso, ma la scelta del crocifisso, la scelta di campo. Al di là delle dichiarazioni formali, la Chiesa di Ratzinger e Ruini si gioca il potere con il potere. Personalmente sto con la Chiesa dei poveri e di don Paolo in Brasile.