Testo di Marco Guzzi
In questi primi tre anni di crisi economica mondiale abbiamo potuto constatare con i nostri occhi e con le nostre orecchie l’assoluta carenza di visione globale che caratterizza le attuali classi dirigenti del pianeta.
Sarebbe divertente ed istruttivo mettere in fila le dichiarazioni fatte in questi mesi dalle maggiori autorità politiche, economiche, e finanziarie del mondo, dalla BCE al Fondo Monetario fino alla Commissione Europea e ai governi delle principali nazioni, per verificare l’incredibile oscurità in cui si muovono.
Per fare un solo esempio il 20 dicembre del 2006, a pochissimi mesi dall’inizio della catastrofe che tuttora travolge l’intero assetto economico globale, il Presidente della Banca Centrale Europea Jean Claude Trichet affermava perentoriamente che “i principali indicatori confermano una economia in forte crescita” e che la situazione garantiva “l’espansione prevista della ripresa”, che sarebbe certamente continuata lungo il 2007 grazie a “una crescita globale più equilibrata geograficamente e robusta”.
Ancora il 28 giugno del 2008 Trichet sosteneva che la resistenza delle economie emergenti stesse aiutando la crescita globale. Tre mesi dopo però le cose sembravano del tutto rovesciate, tanto che lo stesso Trichet ci avvertiva che ci trovavamo a vivere la crisi più grave che mai avesse dovuto sopportare la BCE in tutta la sua storia, e che “le tensioni sui mercati finanziari partite ad agosto 2007 sono certamente il problema più difficile mai affrontato finora”.
Nel frattempo erano stati bruciati circa 11.000 miliardi di euro, e cioè la metà della capitalizzazione finanziaria del mondo.
Ora, il 7 maggio del 2010, al vertice europeo di Bruxelles, dopo averci promesso lungo tutto il 2009 lente ma sicure riprese, e dopo che a fallire non sono più soltanto le banche ma interi stati europei, Trichet ci rivela che in realtà siamo nel mezzo di una “crisi sistemica”…
Ma allora sarebbe stato molto più fruttuoso affidarsi a Raymond Merriman, uno dei consulenti astrologico-finanziari più accreditati del mondo, il quale da almeno dieci anni aveva previsto questo tracollo economico, che, tra l’altro, secondo lui, non è affatto arrivato al suo fondo, dato che dobbiamo ancora attraversare la fase 2010-2013 che l’astrologia mondiale di André Barbault indica da sempre come il punto di possibile svolta della “crisi sistemica” di cui ormai parla perfino Trichet.
In realtà la crisi non è soltanto sistemica (relativa cioè al sistema economico-finanziario), ma antropologico-culturale, e cioè relativa ad un’intera figurazione storica di umanità che si sta sfaldando dentro di noi e davanti ai nostri occhi accecati da troppi video che non vedono e non fanno vedere ormai più niente.
Ma che cosa dovranno affrontare i potenti e i sapienti di questo mondo per incominciare ad accorgersene? Quali esperienze apocalittiche, per dirla con René Girard, sul piano degli squilibri economici, e delle sommosse popolari e delle guerre che inevitabilmente produrranno, o dei collassi ecologici che già subiamo ogni giorno più velocemente, dovremo sopportare, prima di impegnarci in una nuova e grande ed entusiasmante progettazione del futuro del mondo, e cioè in uno slancio inedito di creatività culturale e di pensiero?
Tremonti è arrivato a dire che per interpretare questa crisi, che non è una crisi come le altre, ma udite udite addirittura “un tornante della storia”, più che di categorie economiche avremmo bisogno delle ben più profonde e radicali immagini bibliche, mentre lo stesso Benedetto XVI ha ribadito nella sua ultima Enciclica, Caritas in veritate, che tutti i problemi del presente, compresi quelli economici planetari, dipendono da una spaventosa carenza di pensiero: “Paolo VI aveva visto con chiarezza che tra le cause del sottosviluppo c’è una mancanza di sapienza, di riflessione, di pensiero in grado di operare una sintesi orientativa” (n. 31).
E anch’io, infine, se mi si consente una piccola autocitazione, già alla fine del 2004 scrivevo: “Dovremmo comprendere che in realtà è la carenza di idee adeguate alle sfide del tempo che rende la nostra Europa così stagnante e depressa anche dal punto di vista economico. La fecondità e l’autentico sviluppo economico, infatti, quello cioè che non distrugge ma arricchisce l’umanità corrispondendo a tutta la complessità dei suoi bisogni, dipende e discende dalla vitalità inventiva e creativa dei popoli, non la produce. Senza un’autentica crescita culturale, infatti, le civiltà stagnano a tutti i livelli.”
Ma dove sono oggi i ceti politici e imprenditoriali veramente ambiziosi che vogliano pensare e quindi anche operare a questo livello? Dove sono i pensatori, gli scrittori, gli artisti, i programmisti-registi, i giornalisti, i direttori di rete/quotidiani/collane/settimanali, ma anche le istituzioni universitarie o ecclesiali, le amministrazioni locali o le fondazioni private, così gelose dei loro finanziamenti pubblici, che sappiano guardare un metro al di là della loro stucchevole egoità depressa, del loro parassitismo cronico, e cioè della loro sostanziale corruzione, per dedicarsi alla grande opera della ricostruzione di una visione dell’uomo e del mondo?
Insomma a quale punto della discesa verso l’abisso incominceremo a comprendere che questa crisi non finirà mai, finché non avvieremo una revisione radicale del pensiero che continua a dominare in questa fase terminale del nichilismo occidentale?
E’ bello ricordare però che ognuno di noi può in ogni momento porre fine al proprio precipitare nella notte oscura e, in un certo senso, come Dante, anticipare il rivolgimento diurno, e iniziare a pensare e quindi a vivere già da ora dopo la fine, da capo-volti e ri-generati, come i poeti intravisti da Martin Heidegger, che prefigurano e al contempo profetizzano i rovesciamenti abissali dell’umanità nascente: “L’epoca a cui manca il fondamento pende nell’abisso. Posto che, in genere, a questa epoca sia ancora riservata una svolta, questa potrà aver luogo solo se il mondo si capovolge da capo a fondo, cioè se si capovolge a partire dall’abisso. Nell’epoca della notte del mondo l’abisso deve essere riconosciuto e subìto fino in fondo. Ma perché ciò abbia luogo occorre che vi siano coloro che arrivano all’abisso”.
Questo d’altronde è l’invito che ci viene da ogni autentica via spirituale, e sembra oramai anche l’unica via culturale, l’unica traiettoria evolutiva ancora percorribile:
rovesciare il dominio del pensiero tecno-economico, e quindi della mente ego-centrata che lo produce, e trovare le vie di un pensiero più vasto, più areato, più spirituale, tecnico e spirituale al contempo, un pensiero che, come dice san Paolo, ci sappia sottrarre “all’ira ventura” (1Ts 1,10), e alla baraonda contemporanea delle lingue ladre e assassine. –