In questi giorni esponenti di Bene Comune sono stati sollecitati ad esprimere pubblicamente valutazioni sulla perdita economica della Fondazione Carifano e sul permanere di Tombari a capo della stessa.
Il nostro giudizio su questa triste vicenda lo abbiamo già espresso da anni, per primi, ripetutamente, sempre inascoltati.
Abbiamo fatto presente alla città di Fano che era fuori dalla razionalità economica un investimento in azioni dopo che la crisi della Lehman Brothers aveva impattato sulle borse mondiali e che la prudenza avrebbe consigliato di dirottare le disponibilità su investimenti di breve periodo con l’obiettivo di mantenersi liquidi.
Abbiamo giudicato non prudente la mancata diversificazione dell’investimento che ha portato a concentrare sulle azioni di Banca Marche circa un terzo del patrimonio sociale.
Abbiamo stigmatizzato la scelta di destinare 45,7 mln a tale banca dopo che, anni prima, era stata fatta la scelta di uscire definitivamente dalla Carifano, banca da cui è originata la Fondazione, che ne possedeva l’intero capitale azionario.
A giustificazione dell’acquisto si è addotta la volontà di contare nelle decisioni del credito di una banca (difatti Tombari ebbe a lamentarsi pubblicamente della mancata poltrona in consiglio di amministrazione, dopo cotanto investimento). Ma tutti sanno che l’esercizio del potere di dare soldi a qualcuno e negarli ad altri non deve essere l’obiettivo della Fondazione.
L’obiettivo della Fondazione, per statuto, è quello di conservare il livello di patrimonio e contemporaneamente erogare beneficenza secondo le scelte stabilite nello statuto. La conservazione del patrimonio investito è invece totalmente mancata.
La novità di questi giorni è l’entità della perdita che noi avevamo previsto molto, molto, consistente, anche se non eravamo giunti a pensare che la svalutazione fosse totale. Oggi sappiamo che tutte le azioni e le obbligazioni subordinate di Banca delle Marche, possedute dai risparmiatori, sono state azzerate nell’ambito di una operazione di salvataggio di una “banca ponte” (la “Nuova Banca Marche”).
La Fondazione ha così bruciato 45,7 mln di euro. Detto così non se ne ha l’esatta percezione. Se invece diciamo che sono stati persi 183 appartamenti del valore di 250 mila euro ciascuno si percepisce meglio il danno di questa operazione. Il danno per la città, perché ad essa era destinato, per legge, quel patrimonio.
La strana concezione di responsabilità del suo Presidente (“non dobbiamo rendere conto alle istituzioni della città. Dobbiamo rendere solo conto al Ministero che ci vigila”) ha portato la nostra Fondazione ad un qualcosa che non è né pubblico né privato ma che assomma i difetti ed i limiti dell’uno e dell’altro: la prepotenza ed il potere del pubblico senza il senso di responsabilità di lasciare quando si perde una competizione. E qui si è perso tanto! E dire che in altre città queste dimissioni sono già state rassegnate, per esempio nella vicina Pesaro.
Da un tale attaccamento al potere non ci si aspetta ormai più una dignitosa assunzione di responsabilità. L’avevamo inutilmente auspicata la scorsa primavera, suggerendo il “bel gesto” di una uscita anticipata, e subito “il nostro” è apparso per ore ed ore nella tv locale per spiegare la sua verità, con altri sodali. Ma non è questo quello che ci è dispiaciuto di più.
Ci ha amareggiato maggiormente l’atteggiamento complessivo della città, che è rimasta sostanzialmente silente, mentre buona parte del suo patrimonio andava in fumo. E’ mancata soprattutto la critica pubblica, probabilmente per diverse ragioni fra le quali non è facile individuare quella prevalente: le minacce di querela avanzate ad ogni piè sospinto dalla governance della Fondazione, il consenso delle forze politiche che sostenevano le “giunte Aguzzi” alle opere immobiliari realizzate dalla Fondazione, la riconoscenza dei beneficiari di elargizioni o le blandizie di chi sperava di ottenerne o di averne la riconferma, l’ignoranza su fatti complicati come le disavventure finanziarie e la difficoltà di individuarne le responsabilità, il disinteresse ed il tirare a campare.
Alcuni fatti per esemplificare: il consiglio comunale monotematico dove Tombari ha “spiegato” la sua verità sull’investimento in Banca Marche e contemporaneamente promesso la continuazione e l’incremento del programma di elargizioni del passato (la gran parte dei consiglieri comunali soddisfatti dell’intervento, financo a complimentarsi con il Presidente) e la perla del consigliere del PD Minardi, che Cicerchia che dai banchi della maggioranza, intimidito, giungeva a ritirare la sua mozione di censura per evitare spaccature nel voto del suo partito.
Davvero illuminante è poi il giudizio sull’investimento in Banca delle Marche espresso a suo tempo dall’allora presidente del consiglio comunale Renato Claudio Minardi secondo il quale Banca delle Marche era “una Banca ben amministrata dal Presidente Ambrosini di Urbino” e l’investimento avrebbe reso alla Fondazione “molto di più di quello che oggi rendono i titoli di stato”. La débacle attuale ci dà purtroppo il senso della capacità di visione e della competenza della classe politica che da anni amministra le nostre istituzioni locali.
Ora il Sindaco Seri reclama una pausa di riflessione per poter approfondire la questione. Pausa di riflessione che, per quanto abbiamo potuto appurare finora, è ancora in corso. A quando una presa di posizione? Cosa c’è ancora da capire? Sindaco batti un colpo!
CONSIGLIO DIRETTIVO DI BENE COMUNE
Tombari e le ceneri di Banca Marche
Commenti
Una risposta a “Tombari e le ceneri di Banca Marche”
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Bravi, siete gli unici adire le cose chiaramente! Tombari e gli scheletri di Madonna ponte. Tombari e le sue immobiliari di B0logna. E il vice presidente Piccinetti responsabile di un centro di biologia marina, costruito dal comune e in condizioni di assoluto degrado.
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